venerdì 3 settembre 2010

samarcanda, secondo lafra

che dire. Samarcanda.
eccola.
carichi come due muli (zaini, sacchetti con cibo e souvemir di bukhara, borse
con macchina fotografica), cindo ancora malaticcio e a macinare chilometri a
piedi perche' proprio oggi il presidente-padre-padrone dell'Uzbekistan ha
deciso di venire a Samarcanda cosi' bloccando il traffico in tutta la citta' o
quasi.
Da dove ci scarica il taxi al mostro B&B ci perdiamo, ed ecco e che, dopo un
cavalcavia, compare il Registan.
Ancora pochi metri e, come un'apparizione, ne riconosco i mosaici. Una tigre
che porta il sole sul dorso.
e' li' che ho capito che eravamo arrivati, che il nostro viaggio "raso terra"
da istanbul, e anche da prima - in questi anni in cui abbiamo vagato per i
balcani -, trovava il suo compimento.
e' una sensazione indescrivibile, come un miraggio, ma sai che e' vero.

non sappiamo pressoche' nulla, ancora, di questa citta'. Ho avuto bisogno di
una lunghissima pausa, seduta davanti alle madrase (scuole coraniche) che si
affacciano sul Registan, per poter solo osare entrarvi.
mi sono abituata all'idea di essere li', ho ringraziato per esserci arrivata e
ho temuto la delusione che c'e' in ogni arrivo. mi sono goduta il momento,
senza fretta di bruciarlo.
non posso dire granche' altro, ne' che senso possa avere ora arrivare fino a
pechino.
La via della seta passava da qui, ma poi proseguiva, per mille rivoli, fino a
Xi'an. Ci vorra' tempo, credo, prima di capire il senso dell'andare.
Ma forse, conoscendomi un po', bastera' farsi una dormita su questa giornata
indimenticabile.

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